Il decalogo della comunicazione ambientale
Buone pratiche e consigli di sopravvivenza in un mondo in cui la sostenibilità è diventata “il nostro pane quotidiano”
Il comunicatore ambientale in azienda non esiste oggi e forse mai esisterà: è un po’ una figura mitologica. Al contrario, la comunicazione ambientale diventa centrale per qualsiasi organizzazione e necessita di specifici “attrezzi del mestiere”. Ci affacciamo, infatti, su un mondo in cui tutti, ma proprio tutti i comunicatori dovranno avere competenze ambientali, conoscere in profondità e interpretare la crisi climatica e l’abc dell’economia circolare, oltre a essere in grado di scrivere progetti che corrispondano a finanziamenti, opportunità, bandi, già oggi sempre più orientati alla green economy.
Insomma, uno, nessuno e centomila: è questo il comunicatore ambientale. E a questa figura un po’ ubiqua ma in rapida diffusione è dedicato il decalogo che segue. Sapremo comunicare e raccontare il profondo cambiamento della società? Saremo in grado di spiegare e motivare avvenimenti (e sconvolgimenti) della transizione ecologica all’opinione pubblica? Riusciremo a trovare una narrazione convincente, che faccia presa sull’immaginario comune? Il decalogo della comunicazione ambientale riunisce dieci buone pratiche e “consigli di sopravvivenza” per la comunicazione del mondo che verrà.
Il decalogo della comunicazione ambientale
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1. Se non parli ti cancello.
Stiamo assistendo a una vera e propria esplosione di interesse sui temi ambientali. La curva dell’attenzione ha iniziato a crescere nel periodo pre-pandemico, trascinata dall’effetto-Greta e oggi è trainata dalle sfide (e dalle risorse) della transizione ecologica. Quindi il primo monito è: non si può non comunicare su questi temi. Da una parte perché se non si comunica non si esiste, dall’altra perché sui temi ambientali non si può non prendere posizione, pena l’inserimento (a ragione o meno) nella categoria degli “insostenibili”.
2. Le tre C sul comò: complessità, contraddizioni, conflitto.
I temi ambientali continuano a essere caratterizzati da una forte complessità, da profonde contraddizioni e da una elevata conflittualità. Non sono semplici, lineari e aggreganti, ma complessi, contradditori, divisivi. Per comunicare bene, occorre essere consapevoli di queste caratteristiche e dei relativi rischi, senza dimenticare anche che oltre al fronte dei pro e a quello dei contro esiste una maggioranza silenziosa di indecisi e neutri che va sollecitata attraverso una comunicazione chiara, trasparente ed esaustiva.
3. A buon comunicatore molte domande.
La sostenibilità ambientale è legata a valori quali l’etica, la sicurezza, la salute. Da questi valori derivano dubbi, domande, richieste di approfondimento e rassicurazione, persino paure e ansie. Tutte queste istanze vanno prese in carico per mantenere aperta e alimentare la relazione con i propri interlocutori, evitando che si interrompa. A maggior ragione su temi complessi, contradditori e divisivi come quelli ambientali (vedi punto 2), è necessario rispondere sempre in maniera onesta, completa e pertinente.
4. Trasparenza is the new black.
La trasparenza paga sempre, è un imperativo. Le scorciatoie su questi temi possono portare benefici tattici nel breve termine, ma in prospettiva risulteranno inefficaci e controproducenti. Per questo è fondamentale trasmettere messaggi brevi, comprensibili ed esaustivi. Oggi i cittadini-utenti-consumatori ormai sono in buona parte cintura nera in riconoscimento del greenwashing, cercano e vogliono più informazioni e chiedono a gran voce che siano chiare, dettagliate e oneste.
5. Il difficile è farla semplice.
Liberare il linguaggio da tecnicismi, acronimi e codici per addetti ai lavori: solo così sarà possibile far crescere empatia, vicinanza e motivazione. Perché dire RSU se si può parlare di rifiuti urbani? Attenzione, però: semplificare non significa banalizzare. Come trovare l’equilibrio? Rendendo più accessibili i contenuti scientificamente fondati, riconducendo questi temi, che sembrano distanti e difficili, a una dimensione più vicina al nostro interlocutore.
6. Lavami ma senza bagnarmi.
Se vogliamo davvero comunicare la portata della sfida ambientale e climatica, dovremo convincere i nostri interlocutori nell’adottare comportamenti ben più faticosi dell’ormai consolidata raccolta differenziata. E per farlo bisognerà evitare di chiudersi in atteggiamenti stizziti o spocchiosi di fronte ai ritardi o alle incoerenze dei nostri interlocutori: solo a persone coinvolte attivamente e prese sul serio è possibile chiedere aiuto, condivisione di obiettivi e cambiamenti di comportamento, abitudini, prospettive.
7. Ricordati che NON devi morire.
La comunicazione ambientale deve essere una comunicazione positiva. Attenzione, nessuna ambiguità o fraintendimento su questo punto: è essenziale assicurare un’informazione completa ed esaustiva ma per rendere efficace la nostra comunicazione su questi temi è altrettanto decisivo fare apprezzare il vantaggio nell’adottare comportamenti più sostenibili, rispettosi e attenti alla salute dell’ambiente. Lo diceva già Lucrezio e lo ripeteva Mary Poppins: con un po’ di zucchero la pillola va giù. Senza esagerare, però!
8. Insieme a te non ci sto più.
Per comunicare bene sui temi ambientali, è necessario tenere insieme comportamenti individuali e collettivi, facendo sì che l’adozione di buone pratiche a livello personale possa rispecchiarsi in una cornice politica e sociale adeguata. Alle parole devono far seguito azioni concrete: ci deve essere coerenza tra comportamenti e messaggi veicolati. Una campagna di sensibilizzazione che invita ad assumere comportamenti più sostenibili deve trovare corrispondenza nella dimensione collettiva, nel vedere tutti gli attori remare nella stessa direzione.
9. Un hashtag non fa primavera.
Anche se quelli ambientali sono temi complessi, non si può pensare di non utilizzare i canali digital e social per la comunicazione, perché sono una grande opportunità per accorciare le distanze e dare vita a un canale di ascolto e scambio costantemente presidiato. Ma per farlo bene è importante trovare il giusto tone of voice, motivare ogni scelta, non sottrarsi alla discussione, evitando di creare polarizzazione. Chi decide di attivare questi canali deve sapere che ci vogliono risorse, tempi e formazione dedicata: non ci si può improvvisare.
10. Oltre alla testa c’è di più.
La consapevolezza non basta. Nella nostra scelta di aderire o meno a una richiesta di cambiamento, contano contingenze, emozioni, fattori ansiogeni. E le tematiche ambientali, essendo legate ad argomenti come salute e sicurezza (rivedi punto 3) diventano questioni sensibili e da maneggiare con grande attenzione. Una strategia vincente potrebbe essere allargare il campo della comunicazione ambientale a competenze diverse e trasversali che lavorano sulla parte empatica, emozionale, psicologica del comportamento, coinvolgendo le scienze sociali e cognitive, e soprattutto “pescando” dai linguaggi artistici.
L’undicesimo capitolo scriviamolo insieme
Dieci punti, dieci proposte, dieci strumenti che, come ogni ferro del mestiere che si rispetti, vanno mantenuti affilati. Questo testo non ha nessuna pretesa di verità o di dottrina (se avete letto con attenzione, una comunicazione ambientale efficace non è rigida e dogmatica, ma elastica e includente). Nasce dall’esigenza di condividere una serie di indicazioni e stimoli che provengono dall’esperienza, dalle conferme e dalle smentite vissute sul campo in oltre vent’anni di attività e dalla passione per una materia che finalmente riceve dopo tanti anni la giusta attenzione.
Nonostante l’interesse sulle tematiche ambientali sia in crescita da qualche anno, c’è ancora molto da dire, indagare, sondare, sviscerare. Questo decalogo è un primo passo che vuole e deve essere arricchito, completato, definito, reso sempre più strumento di lavoro. E ogni contributo è fondamentale!
Insomma, citando Helen Keller, da soli possiamo fare così poco; insieme possiamo fare così tanto.
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