Verso una nuova alleanza di genere. I risultati della Survey L.U.I

Survey L.U.I. 2025

La Survey L.U.I. 2025 di Fondazione Libellula mostra luci e ombre nella consapevolezza maschile su parità, stereotipi e responsabilità. Tra divari generazionali e illusioni di parità, il cambiamento va accompagnato.

Quando si parla di parità di genere, il discorso pubblico tende ancora a declinarsi in prevalenza al femminile. Come se l’altro lato della relazione – quello maschile – non fosse parte in causa (quando sappiamo che purtroppo non è così). La survey L.U.I. – Lavoro, Uomini, Inclusione, realizzata da Fondazione Libellula con il supporto scientifico dell’Università Cattolica e presentata a ottobre, prova a rompere questa asimmetria: oltre 6.000 risposte, di cui 2.137 provenienti da uomini lavoratori in Italia, offrono uno spaccato prezioso del modo in cui gli uomini vivono oggi parità, stereotipi, paternità, discriminazioni e responsabilità nei contesti professionali.

Un’indagine che non sposta il focus, ma lo amplia, mettendo in discussione il silenzio maschile come fattore di stagnazione culturale. E che chiama a un coinvolgimento più attivo e consapevole.

La parità conviene (quasi) a tutti, ma molti pensano che sia già arrivata

Tra i dati più incoraggianti, il fatto che il 90,5% degli uomini ritenga che una maggiore equità tra i generi sia un vantaggio per tutte le persone. È un segnale di apertura importante, che però si infrange su un altro dato: quasi un uomo su tre (29,5%) crede che la parità sia già stata raggiunta.

Un’illusione che non trova riscontro nella realtà. Secondo il Global Gender Gap Report 2025 del World Economic Forum, ci vorranno ancora 123 anni per colmare i divari di genere a livello globale. La percezione distorta del “traguardo raggiunto” rischia dunque di rallentare, se non di ostacolare, il cambiamento culturale necessario.

Uomini al lavoro nella Survey L.U.I.: tra pressioni identitarie e discriminazioni trasversali

Il lavoro resta uno dei luoghi in cui si manifesta con più evidenza il cortocircuito tra identità maschile e aspettative sociali. Lo stereotipo della virilità autosufficiente, iperproduttiva e immune da fragilità continua a pesare: il 23,1% degli uomini ha lasciato un lavoro per contesti tossici o discriminatori.

Accanto a questo, emergono nuove forme di discriminazione trasversale, che colpiscono per età, ruolo o status lavorativo. Tra tutte, spicca l’ageismo:

  • il 20,8% degli uomini ha subito discriminazioni per la propria età;
  • tra gli over 60, la percentuale sale al 28,3%;
  • mentre è alta anche tra i più giovani (25–30 anni), con un 27,5%;
  • per i freelance, la quota arriva al 41,9%.

Gli over 60 vengono spesso percepiti come poco adattabili all’innovazione, mentre i più giovani sono considerati immaturi o inaffidabili. Un doppio vincolo che dimostra quanto il maschile sia ancora intrappolato in aspettative rigide e modelli identitari superati.

Anche la sfera relazionale non è esente da problemi: il 4,9% degli uomini intervistati è spesso oggetto di battute a sfondo sessista. Una percentuale di gran lunga inferiore rispetto a quella femminile (17,4%), ma comunque significativa. A confermare un aspetto strutturale, è che nel 68,8% dei casi gli autori di commenti sessisti sono altri uomini.

Giovani uomini, vecchi schemi: il paradosso generazionale

Un altro dato chiave della Survey L.U.I., e forse il più preoccupante, riguarda il coinvolgimento delle nuove generazioni. Se in media il 77% degli uomini si sente parte attiva nella lotta alla violenza di genere, la percentuale scende al 53,8% tra i giovani della Generazione Z.

Ancor più preoccupante: il 46,2% dei giovani uomini ritiene che alcune misure per l’equità siano discriminatorie verso di loro, contro il 27% della media generale e appena il 26% tra i padri. Un’inversione rispetto all’immaginario che vede nei giovani i portabandiera del cambiamento. A differenza delle coetanee – più consapevoli e determinate nel richiedere diritti – i ragazzi appaiono più disorientati, intimoriti o arroccati su modelli tradizionali.

Le ragioni? Un mix tra polarizzazione politica, esposizione a contenuti sessisti e misogini online e carenza di modelli educativi positivi. È qui che serve investire, subito: educazione sessuo-affettiva (tema su cui in Italia ahimé ancora siamo ben indietro), confronto intergenerazionale, narrazioni che valorizzano le differenze e strumenti culturali che parlino anche ai più giovani.

Libertà di essere uomini, fuori dalle gabbie

Costruire una nuova alleanza di genere significa anche liberare gli uomini da ruoli imposti. Significa offrire la possibilità di essere padri presenti – solo il 34,6% utilizza per intero il congedo parentale, con picchi positivi tra i Millennial – e non doversi definire attraverso lo status professionale. Significa poter mostrare fragilità senza paura di perdere valore.

Smettere di aspettare gli alleati: diventarlo

La Survey L.U.I. offre una fotografia preziosa, ma anche un invito urgente: gli uomini non possono restare spettatori nel contrasto agli stereotipi di genere e alla violenza. Il cambiamento richiede partecipazione attiva, consapevolezza, assunzione di responsabilità.

Non basta “fare spazio” alle donne: bisogna costruire insieme nuovi spazi, nuovi linguaggi, nuove leadership. Il futuro della parità non si gioca solo nei rapporti di forza, ma nella capacità collettiva di ridefinire le relazioni tra generi perché siano il più possibile positive, arricchenti, libere.

I segnali di cambiamento ci sono. Ma occorre tenerli vivi, accompagnarli, proteggerli, soprattutto nel passaggio generazionale. Perché la parità non è uno stato, è un processo. E ogni processo ha bisogno di alleati.

Micol Burighel

 

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