Le nuove direttive europee impongono un salto di qualità nella rendicontazione e nel tracciamento di dati e informazioni. A dispetto di quanto si creda le relazioni e la creatività diventano ancora più strategiche. Articolo di Sergio Vazzoler su sostenibilità e comunicazione uscito originariamente sul numero di luglio di CSRoggi (qui).
Affidabili, comparabili e verificabili: queste le tre parole chiave per connotare le informazioni di sostenibilità che le imprese emettono nel loro agire sui mercati e sui territori ove operano e che sono richieste in modo sempre più stringente dalle nuove direttive europee. Parlo della CSRD per la rendicontazione di sostenibilità e CS3D o CSDDD per la diligenza in tema di diritti umani e impatti ambientali lungo tutta la catena di fornitura.
Da qui l’importanza di un processo di comunicazione all’interno delle organizzazioni che sensibilizzi, coinvolga e pervada ogni singolo reparto, ufficio e persona. Certo, alla base della comunicazione affidabile, comparabile e verificabile, ci devono essere i dati, senza i quali è impossibile corrispondere a queste condizioni.
Affrontare le nuove sfide di sostenibilità
Ed è qui che iniziano i problemi e le difficoltà: con queste nuove direttive, le imprese – parliamo di quelle già strutturate che pubblicano da anni i propri bilanci di sostenibilità – vedono aumentare in modo assai rilevante la mole di attività necessaria a incrementare di qualche centinaio gli indicatori ESG che devono rendicontare (CSRD) e ad adottare tutte le misure per fare in modo di limitare e azzerare gli impatti sulle dimensioni ambientale, sociale e di governance, non solo in rapporto all’azione della propria azienda, ma dell’intera filiera (CS3D). E se queste difficoltà le dovranno affrontare le aziende più grandi e già abituate a perimetro e vincoli ESG, pensiamo allo sforzo immane che dovranno compiere quelle piccole e medie imprese che si collocano a valle di quella catena di fornitura per corrispondere alle nuove richieste delle aziende capo-fila alle prese con nuovi indicatori e obblighi di tracciamento.
Ecco perché di fronte a questo scenario caratterizzato da un salto di complessità e fatica, c’è l’assoluta urgenza nello sgombrare il campo da un paradosso che rischia di allontanare il raggiungimento degli obiettivi di estensione e allargamento del bacino di imprese coinvolte nel processo di transizione da un’economia lineare, consumistica e distratta sui diritti a una circolare, sostenibile e decisamente più attenta alle differenze e diseguaglianze sociali. Perché ogni tanto sembriamo dimenticarcelo ma la posta in gioco dietro a tutto questo fiorire di nuovi vincoli, limiti e obblighi è proprio il correggere la direzione alla grande nave che abbiamo condotto sin qui in modo inadeguato e pericoloso. Più per noi che per il pianeta…
Il paradosso della comunicazione di fronte alla sostenibilità
Dunque, a quale paradosso mi riferisco? Pe rispondere non posso che ritornare su un tema più volte sollevato. Si continua a confondere il ruolo della comunicazione come una componente finale e accessoria da usare solamente allorquando tutti i dati richiesti dalle normative sono stati recuperati, elaborati e organizzati e, proseguendo a ritroso nel percorso, solo una volta realizzato nei fatti quanto richiesto da obiettivi e indicatori. Già, perché se ci si limita a pensare alla comunicazione come componente finale e accessoria di un processo strategico allora qualsiasi “anticipazione” lungo la linea spaziale e temporale inevitabilmente diventa distorsione, scorciatoia e inganno (greenwashing, socialwashing and so on).
Ma è proprio la visione – questa sì distorta e colpevole! – che si ha della comunicazione a ingenerare questo paradosso. Al contrario, tornando al vero obiettivo delle nuove direttive europee (trasformare un sistema economico più attento all’ambiente e ai diritti), la comunicazione deve essere collocata al centro della strategia.
Alcuni esempi
Proviamo a farci qualche domanda in tal senso: come scattare una fotografia organizzativa iniziale del percorso ESG se non tramite un assessment? Ossia ponendo le domande giuste al personale da coinvolgere e portare a bordo affinché tutti remino nella stessa, nuova, direzione. E come affrontare la fatica e la complessità del recupero del dato se non intervenendo con un processo di comunicazione organizzativa che stabilisca linee guida, gruppi di lavoro e modalità di coaching per facilitare flussi e relazioni tra gli uffici?
E soprattutto: come si può pensare di rappresentare la “materialità” dell’impresa – che in virtù dell’applicazione della CSRD diventa “doppia” obbligando le aziende a comunicare sia in merito all’impatto delle attività dell’impresa sulle persone e sull’ambiente, sia su come le questioni di sostenibilità incidono sull’impresa – se non attivando un dialogo continuo, strutturato e coinvolgente con clienti, fornitori, istituzioni territoriali e comunità?
Solo in questo modo la rappresentazione della materialità sarà davvero aderente alla realtà: esattamente il contrario del washing che, a proposito di paradossi, si può facilmente configurare decidendo a tavolino e in solitudine quali temi siano considerati materiali dalla direzione aziendale! Insomma, le scorciatoie e le distorsioni comunicative esistono eccome ma anziché attivarsi per troppa comunicazione, si realizzano non comprendendo il significato largo e profondo della comunicazione.
Tornare alla creatività
Ecco, allora, che per concludere questa ostinata disamina sul ruolo della comunicazione di sostenibilità, prendo a prestito uno dei tanti passaggi illuminanti del discorso tenuto da Annamaria Testa alla recente assemblea di UPA, l’associazione delle maggiori aziende industriali, commerciali e di servizi che investono in pubblicità: “la creatività è forse la più misteriosa, mirabile e potente delle capacità umane. E non sto parlando solo di creatività pubblicitaria. Sto parlando della nostra facoltà di scoprire e inventare concetti e prodotti nuovi che hanno valore (…) La creatività serve a informare meglio e a costruire relazioni migliori e più solide. In questa logica, la comunicazione e la pubblicità non sono una componente accessoria, ma un elemento cruciale non solo dell’offerta, ma anche dell’identità stessa dell’azienda. Riusciamo a ricordarcene sempre?”.
Sergio Vazzoler
ESG, le parole e le idee che servono ai dati
Le nuove direttive europee impongono un salto di qualità nella rendicontazione e nel tracciamento di dati e informazioni. A dispetto di quanto si creda le relazioni e la creatività diventano ancora più strategiche. Articolo di Sergio Vazzoler su sostenibilità e comunicazione uscito originariamente sul numero di luglio di CSRoggi (qui).
Affidabili, comparabili e verificabili: queste le tre parole chiave per connotare le informazioni di sostenibilità che le imprese emettono nel loro agire sui mercati e sui territori ove operano e che sono richieste in modo sempre più stringente dalle nuove direttive europee. Parlo della CSRD per la rendicontazione di sostenibilità e CS3D o CSDDD per la diligenza in tema di diritti umani e impatti ambientali lungo tutta la catena di fornitura.
Da qui l’importanza di un processo di comunicazione all’interno delle organizzazioni che sensibilizzi, coinvolga e pervada ogni singolo reparto, ufficio e persona. Certo, alla base della comunicazione affidabile, comparabile e verificabile, ci devono essere i dati, senza i quali è impossibile corrispondere a queste condizioni.
Affrontare le nuove sfide di sostenibilità
Ed è qui che iniziano i problemi e le difficoltà: con queste nuove direttive, le imprese – parliamo di quelle già strutturate che pubblicano da anni i propri bilanci di sostenibilità – vedono aumentare in modo assai rilevante la mole di attività necessaria a incrementare di qualche centinaio gli indicatori ESG che devono rendicontare (CSRD) e ad adottare tutte le misure per fare in modo di limitare e azzerare gli impatti sulle dimensioni ambientale, sociale e di governance, non solo in rapporto all’azione della propria azienda, ma dell’intera filiera (CS3D). E se queste difficoltà le dovranno affrontare le aziende più grandi e già abituate a perimetro e vincoli ESG, pensiamo allo sforzo immane che dovranno compiere quelle piccole e medie imprese che si collocano a valle di quella catena di fornitura per corrispondere alle nuove richieste delle aziende capo-fila alle prese con nuovi indicatori e obblighi di tracciamento.
Ecco perché di fronte a questo scenario caratterizzato da un salto di complessità e fatica, c’è l’assoluta urgenza nello sgombrare il campo da un paradosso che rischia di allontanare il raggiungimento degli obiettivi di estensione e allargamento del bacino di imprese coinvolte nel processo di transizione da un’economia lineare, consumistica e distratta sui diritti a una circolare, sostenibile e decisamente più attenta alle differenze e diseguaglianze sociali. Perché ogni tanto sembriamo dimenticarcelo ma la posta in gioco dietro a tutto questo fiorire di nuovi vincoli, limiti e obblighi è proprio il correggere la direzione alla grande nave che abbiamo condotto sin qui in modo inadeguato e pericoloso. Più per noi che per il pianeta…
Il paradosso della comunicazione di fronte alla sostenibilità
Dunque, a quale paradosso mi riferisco? Pe rispondere non posso che ritornare su un tema più volte sollevato. Si continua a confondere il ruolo della comunicazione come una componente finale e accessoria da usare solamente allorquando tutti i dati richiesti dalle normative sono stati recuperati, elaborati e organizzati e, proseguendo a ritroso nel percorso, solo una volta realizzato nei fatti quanto richiesto da obiettivi e indicatori. Già, perché se ci si limita a pensare alla comunicazione come componente finale e accessoria di un processo strategico allora qualsiasi “anticipazione” lungo la linea spaziale e temporale inevitabilmente diventa distorsione, scorciatoia e inganno (greenwashing, socialwashing and so on).
Ma è proprio la visione – questa sì distorta e colpevole! – che si ha della comunicazione a ingenerare questo paradosso. Al contrario, tornando al vero obiettivo delle nuove direttive europee (trasformare un sistema economico più attento all’ambiente e ai diritti), la comunicazione deve essere collocata al centro della strategia.
Alcuni esempi
Proviamo a farci qualche domanda in tal senso: come scattare una fotografia organizzativa iniziale del percorso ESG se non tramite un assessment? Ossia ponendo le domande giuste al personale da coinvolgere e portare a bordo affinché tutti remino nella stessa, nuova, direzione. E come affrontare la fatica e la complessità del recupero del dato se non intervenendo con un processo di comunicazione organizzativa che stabilisca linee guida, gruppi di lavoro e modalità di coaching per facilitare flussi e relazioni tra gli uffici?
E soprattutto: come si può pensare di rappresentare la “materialità” dell’impresa – che in virtù dell’applicazione della CSRD diventa “doppia” obbligando le aziende a comunicare sia in merito all’impatto delle attività dell’impresa sulle persone e sull’ambiente, sia su come le questioni di sostenibilità incidono sull’impresa – se non attivando un dialogo continuo, strutturato e coinvolgente con clienti, fornitori, istituzioni territoriali e comunità?
Solo in questo modo la rappresentazione della materialità sarà davvero aderente alla realtà: esattamente il contrario del washing che, a proposito di paradossi, si può facilmente configurare decidendo a tavolino e in solitudine quali temi siano considerati materiali dalla direzione aziendale! Insomma, le scorciatoie e le distorsioni comunicative esistono eccome ma anziché attivarsi per troppa comunicazione, si realizzano non comprendendo il significato largo e profondo della comunicazione.
Tornare alla creatività
Ecco, allora, che per concludere questa ostinata disamina sul ruolo della comunicazione di sostenibilità, prendo a prestito uno dei tanti passaggi illuminanti del discorso tenuto da Annamaria Testa alla recente assemblea di UPA, l’associazione delle maggiori aziende industriali, commerciali e di servizi che investono in pubblicità: “la creatività è forse la più misteriosa, mirabile e potente delle capacità umane. E non sto parlando solo di creatività pubblicitaria. Sto parlando della nostra facoltà di scoprire e inventare concetti e prodotti nuovi che hanno valore (…) La creatività serve a informare meglio e a costruire relazioni migliori e più solide. In questa logica, la comunicazione e la pubblicità non sono una componente accessoria, ma un elemento cruciale non solo dell’offerta, ma anche dell’identità stessa dell’azienda. Riusciamo a ricordarcene sempre?”.
Sergio Vazzoler
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