In uno scenario caratterizzato da normative sempre più stringenti e rigorose, la paura di vedersi sbattuti in prima pagina o di essere oggetto di contenziosi può davvero comportare un pericoloso ripiegamento in termini di rendicontazione e comunicazione: è il greenhushing. Articolo di Sergio Vazzoler uscito originariamente sul sito Ferpi.
Un recente articolo a firma di Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano sulle colonne del Sole 24 Ore ha richiamato l’attenzione su una pericolosa tendenza in atto che investe la comunicazione della sostenibilità. Ebbene, se davvero intendiamo sostenere la comunicazione responsabile, non dobbiamo prendere sottogamba il fenomeno oggetto dell’articolo: il cosiddetto “greenhushing”, il silenzio verde del quale sempre più organizzazioni si ammantano rispetto a strategie e obiettivi di sostenibilità.
Il contesto
In uno scenario caratterizzato da normative sempre più stringenti e rigorose (ottima notizia ma che comporta un naturale tempo di apprendimento e una rilevante fatica organizzativa), la paura di vedersi sbattuti in prima pagina o, peggio ancora, di essere oggetto di contenziosi può davvero comportare un pericoloso ripiegamento in termini di rendicontazione e comunicazione.
L’unica ricetta per uscire da questa impasse è proprio la trasparenza, il mettere in chiaro le proprie possibilità e anche i propri limiti, motivando le scelte e fissando obiettivi realistici nel medio termine, senza scorciatoie. Allo stesso tempo, gli sforzi compiuti per essere (più) sostenibili, vanno sostenuti, incoraggiati e comunicati affinché qualcun altro decida di fare altrettanto.
Il valore della comunicazione
Ma non solo: in questo momento di transizione, la comunicazione diventa per la sostenibilità come la farina per il pane, da usare in ogni fase del percorso ESG, a maggior ragione in quello iniziale dove si devono fissare gli obiettivi a medio-lungo termine e portare a bordo collaboratori e interlocutori esterni. Le parole-chiave sono quindi formazione e ingaggio. Un esempio concreto? Pensiamo all’effetto trasformativo dell’ultima direttiva europea sulla due diligence in materia di sostenibilità (CSDDD) e su come il legislatore prende in considerazione il valore generato lungo tutte le filiere del ciclo produttivo. Anche in questo caso, il valore diventa tale solo se condiviso, fatto vivere nell’esperienza dei nostri interlocutori, alimentando un processo virtuoso e continuo di ascolto, dialogo e scambio. In sintesi e per riaprire il dibattito: anziché chiudersi nel silenzio, all’impresa non converrebbe affrontare le sfide di una sana e robusta comunicazione?
Sergio Vazzoler
Sostenibilità tra comunicazione responsabile e silenzio difensivo
In uno scenario caratterizzato da normative sempre più stringenti e rigorose, la paura di vedersi sbattuti in prima pagina o di essere oggetto di contenziosi può davvero comportare un pericoloso ripiegamento in termini di rendicontazione e comunicazione: è il greenhushing. Articolo di Sergio Vazzoler uscito originariamente sul sito Ferpi.
Un recente articolo a firma di Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano sulle colonne del Sole 24 Ore ha richiamato l’attenzione su una pericolosa tendenza in atto che investe la comunicazione della sostenibilità. Ebbene, se davvero intendiamo sostenere la comunicazione responsabile, non dobbiamo prendere sottogamba il fenomeno oggetto dell’articolo: il cosiddetto “greenhushing”, il silenzio verde del quale sempre più organizzazioni si ammantano rispetto a strategie e obiettivi di sostenibilità.
Il contesto
In uno scenario caratterizzato da normative sempre più stringenti e rigorose (ottima notizia ma che comporta un naturale tempo di apprendimento e una rilevante fatica organizzativa), la paura di vedersi sbattuti in prima pagina o, peggio ancora, di essere oggetto di contenziosi può davvero comportare un pericoloso ripiegamento in termini di rendicontazione e comunicazione.
L’unica ricetta per uscire da questa impasse è proprio la trasparenza, il mettere in chiaro le proprie possibilità e anche i propri limiti, motivando le scelte e fissando obiettivi realistici nel medio termine, senza scorciatoie. Allo stesso tempo, gli sforzi compiuti per essere (più) sostenibili, vanno sostenuti, incoraggiati e comunicati affinché qualcun altro decida di fare altrettanto.
Il valore della comunicazione
Ma non solo: in questo momento di transizione, la comunicazione diventa per la sostenibilità come la farina per il pane, da usare in ogni fase del percorso ESG, a maggior ragione in quello iniziale dove si devono fissare gli obiettivi a medio-lungo termine e portare a bordo collaboratori e interlocutori esterni. Le parole-chiave sono quindi formazione e ingaggio. Un esempio concreto? Pensiamo all’effetto trasformativo dell’ultima direttiva europea sulla due diligence in materia di sostenibilità (CSDDD) e su come il legislatore prende in considerazione il valore generato lungo tutte le filiere del ciclo produttivo. Anche in questo caso, il valore diventa tale solo se condiviso, fatto vivere nell’esperienza dei nostri interlocutori, alimentando un processo virtuoso e continuo di ascolto, dialogo e scambio. In sintesi e per riaprire il dibattito: anziché chiudersi nel silenzio, all’impresa non converrebbe affrontare le sfide di una sana e robusta comunicazione?
Sergio Vazzoler
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