Per sostenere la transizione ecologica la comunicazione si deve fare davvero sostenibile. E non esistono scorciatoie.
Onda su onda, direbbe Paolo Conte. Osservando i processi di formazione del dibattito, pare ormai che l’opinione pubblica – che si tratti di vaccini, guerre o qualsiasi altro tema caldo– assuma direzioni sempre più estreme, trascinata da una corrente sotterranea e irresistibile. Anche le questioni ambientali non sfuggono a questo codice di comunicazione: su certe partite si assiste ogni giorno allo scontro acceso tra guelfi e ghibellini. Altre, invece, vengono del tutto trascurate, benché la loro importanza non sia affatto secondaria.
Dalla cronaca quotidiana
Prendiamo, ad esempio, il tema dello smaltimento rifiuti, che trasforma sempre il dibattito pubblico in un calderone in sobbollimento. Quando si affronta l’argomento, anziché entrare nel merito delle soluzioni si preferisce percorrere la strada della contrapposizione e del rifiuto tout court a qualsiasi tentativo di confronto. Senza le discariche (sostenibili) e i termovalorizzatori (moderni), dove mettiamo gli scarti che restano in seguito al processo di recupero e riciclo? Come chiudiamo il cerchio dell’economia – appunto – circolare? Non si sa. Uno scarto, un residuo ci sarà sempre. Allora, forse, non sarebbe il caso di incanalare gli sforzi intellettuali che ora si sprecano nella polemica verso un ripensamento strutturale di questa attività, perché sia in linea con i principi della transizione ecologica, sfrutti al meglio l’innovazione tecnologica e si apra alle esigenze di territori e comunità? In soldoni: non sarebbe più proficuo lavorare sullo zero sprechi anziché sullo zero rifiuti?
Sostenibilità ambientale, opportunità sprecate
Altro esempio. Perché manca (quasi) del tutto nel dibattito pubblico la discussione sui combustibili solidi secondari (Css), che si ricavano – anche in questo caso – da quei rifiuti che ormai non sono più riciclabili? Impiegare i Css come fonti alternative di energia potrebbe essere una soluzione autenticamente circolare nel suo dare nuova vita a rifiuti che oggi vengono mandati in discarica, all’inceneritore o all’estero per essere smaltiti. La situazione, ne scrive anche Ferruccio de Bortoli sul Corriere, ha del paradossale. Non parlarne, non avere le capacità comunicative per trasmettere l’importanza della questione, significa perdere un’opportunità che – a fronte dell’attuale restrizione delle risorse e dell’aumento vertiginoso dei costi energetici – sarebbe quasi provvidenziale. Senza contare che il trasporto transfrontaliero di rifiuti è enormemente dispendioso, economicamente e ambientalmente…
Mancanza di profondità e scorciatoie
Lo stesso vizio lo ritroviamo in altri campi del dibattito riguardante la sostenibilità ambientale. È il caso delle polveri sottili, un tema molto gettonato ma spesso affrontato con quella mancanza di consapevolezza e preparazione che attribuisce alle parole l’esoticità di una formula magica incomprensibile. Come si sprigionano queste polveri sottili? Quali sostanze inquinanti le compongono? Certo, sappiamo tutti che l’uso smodato dell’auto non fa che alzarne il livello, ma chi si aspetterebbe di scoprire che in Italia le stufe a legna sono fra le principali responsabili dell’inquinamento atmosferico, che rappresentano  il 35% del consumo totale di energia finale da parte delle famiglie e che determinano l’84% dei costi sanitari totali nel Paese? Come mai questo tema è semplicemente inesistente nel dibattito pubblico?
Cosa manca al dibattito pubblico e il ruolo della comunicazione sostenibile
Insomma, il vero problema è lo strabismo imperante. Il dibattito pubblico si attiva solo in presenza di un nemico ingombrante, in grado di alimentare la narrazione dei tanti Davide contro Golia e garantire, così, un pezzo di notorietà a chi sventola il vessillo della difesa di un quartiere, di una città o dell’intero pianeta. E così facendo, la polarizzazione impedisce una discussione puntuale e ragionata dei problemi reali e delle possibili soluzioni. Non sfugge a questo schema nemmeno il perenne conflitto intorno alle rinnovabili.
Oggi tutti inseguono e invocano la sostenibilità ma questa, per essere davvero funzionale alla transizione ecologica, necessita di essere sviscerata in ogni sua componente. È qui che deve giocare il proprio ruolo la comunicazione sostenibile, che non è un nuovo capo green da indossare ma è innanzitutto fatica, coraggio e audacia: per raggiungere target estremamente ambiziosi – quali la riduzione del 55% di emissioni al 2030 – la strada che dobbiamo compiere è costellata da veri e propri bivi che richiedono un confronto serrato, scevro da pregiudizi e tatticismi, essendo pronti a mettersi in gioco, a uscire dal proprio recinto e, soprattutto, a rinunciare a qualcosa.
Sergio Vazzoler
 
				 
					
Sostenibilità ambientale, il dibattito pubblico che non c’è
Per sostenere la transizione ecologica la comunicazione si deve fare davvero sostenibile. E non esistono scorciatoie.
Onda su onda, direbbe Paolo Conte. Osservando i processi di formazione del dibattito, pare ormai che l’opinione pubblica – che si tratti di vaccini, guerre o qualsiasi altro tema caldo– assuma direzioni sempre più estreme, trascinata da una corrente sotterranea e irresistibile. Anche le questioni ambientali non sfuggono a questo codice di comunicazione: su certe partite si assiste ogni giorno allo scontro acceso tra guelfi e ghibellini. Altre, invece, vengono del tutto trascurate, benché la loro importanza non sia affatto secondaria.
Dalla cronaca quotidiana
Prendiamo, ad esempio, il tema dello smaltimento rifiuti, che trasforma sempre il dibattito pubblico in un calderone in sobbollimento. Quando si affronta l’argomento, anziché entrare nel merito delle soluzioni si preferisce percorrere la strada della contrapposizione e del rifiuto tout court a qualsiasi tentativo di confronto. Senza le discariche (sostenibili) e i termovalorizzatori (moderni), dove mettiamo gli scarti che restano in seguito al processo di recupero e riciclo? Come chiudiamo il cerchio dell’economia – appunto – circolare? Non si sa. Uno scarto, un residuo ci sarà sempre. Allora, forse, non sarebbe il caso di incanalare gli sforzi intellettuali che ora si sprecano nella polemica verso un ripensamento strutturale di questa attività, perché sia in linea con i principi della transizione ecologica, sfrutti al meglio l’innovazione tecnologica e si apra alle esigenze di territori e comunità? In soldoni: non sarebbe più proficuo lavorare sullo zero sprechi anziché sullo zero rifiuti?
Sostenibilità ambientale, opportunità sprecate
Altro esempio. Perché manca (quasi) del tutto nel dibattito pubblico la discussione sui combustibili solidi secondari (Css), che si ricavano – anche in questo caso – da quei rifiuti che ormai non sono più riciclabili? Impiegare i Css come fonti alternative di energia potrebbe essere una soluzione autenticamente circolare nel suo dare nuova vita a rifiuti che oggi vengono mandati in discarica, all’inceneritore o all’estero per essere smaltiti. La situazione, ne scrive anche Ferruccio de Bortoli sul Corriere, ha del paradossale. Non parlarne, non avere le capacità comunicative per trasmettere l’importanza della questione, significa perdere un’opportunità che – a fronte dell’attuale restrizione delle risorse e dell’aumento vertiginoso dei costi energetici – sarebbe quasi provvidenziale. Senza contare che il trasporto transfrontaliero di rifiuti è enormemente dispendioso, economicamente e ambientalmente…
Mancanza di profondità e scorciatoie
Lo stesso vizio lo ritroviamo in altri campi del dibattito riguardante la sostenibilità ambientale. È il caso delle polveri sottili, un tema molto gettonato ma spesso affrontato con quella mancanza di consapevolezza e preparazione che attribuisce alle parole l’esoticità di una formula magica incomprensibile. Come si sprigionano queste polveri sottili? Quali sostanze inquinanti le compongono? Certo, sappiamo tutti che l’uso smodato dell’auto non fa che alzarne il livello, ma chi si aspetterebbe di scoprire che in Italia le stufe a legna sono fra le principali responsabili dell’inquinamento atmosferico, che rappresentano il 35% del consumo totale di energia finale da parte delle famiglie e che determinano l’84% dei costi sanitari totali nel Paese? Come mai questo tema è semplicemente inesistente nel dibattito pubblico?
Cosa manca al dibattito pubblico e il ruolo della comunicazione sostenibile
Insomma, il vero problema è lo strabismo imperante. Il dibattito pubblico si attiva solo in presenza di un nemico ingombrante, in grado di alimentare la narrazione dei tanti Davide contro Golia e garantire, così, un pezzo di notorietà a chi sventola il vessillo della difesa di un quartiere, di una città o dell’intero pianeta. E così facendo, la polarizzazione impedisce una discussione puntuale e ragionata dei problemi reali e delle possibili soluzioni. Non sfugge a questo schema nemmeno il perenne conflitto intorno alle rinnovabili.
Oggi tutti inseguono e invocano la sostenibilità ma questa, per essere davvero funzionale alla transizione ecologica, necessita di essere sviscerata in ogni sua componente. È qui che deve giocare il proprio ruolo la comunicazione sostenibile, che non è un nuovo capo green da indossare ma è innanzitutto fatica, coraggio e audacia: per raggiungere target estremamente ambiziosi – quali la riduzione del 55% di emissioni al 2030 – la strada che dobbiamo compiere è costellata da veri e propri bivi che richiedono un confronto serrato, scevro da pregiudizi e tatticismi, essendo pronti a mettersi in gioco, a uscire dal proprio recinto e, soprattutto, a rinunciare a qualcosa.
Sergio Vazzoler
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