Il 91% della capitalizzazione di mercato mondiale pubblica dati ESG, eppure solo il 42% ricorre a una verifica esterna. Il Global Corporate Sustainability Report 2025 dell’OCSE racconta un mondo aziendale più maturo rispetto al reporting di sostenibilità — ma con ancora alcuni nodi aperti.
C’è un dato che colpisce subito, leggendo il Global Corporate Sustainability Report 2025 dell’OCSE: la rendicontazione di sostenibilità non sta arretrando, nonostante il vento politico contrario in molte parti del mondo. Anzi, cresce. Nel 2024 quasi 13.000 aziende, pari al 91% della capitalizzazione di mercato globale, hanno deciso di pubblicare informazioni ESG. Un salto avanti rispetto all’86% di due anni prima.
In un momento storico in cui si parla molto di “stanchezza ESG”, di rollback normativi e di pressione per alleggerire gli obblighi, queste percentuali raccontano una storia diversa: le imprese continuano a considerare la trasparenza una leva strategica, non una moda passeggera.
Più disclosure, soprattutto sulle emissioni (ma non solo)
Il cuore del report è un mosaico di numeri che mostra come la sostenibilità stia entrando nel funzionamento quotidiano delle aziende.
- 88% rendiconta le emissioni Scope 1 e 2
- 76% dichiara almeno una categoria di Scope 3
- 70% dei consigli di amministrazione supervisiona i temi climatici (erano il 53% nel 2022)
- 67% lega la remunerazione variabile dei dirigenti a obiettivi ESG
- 60% pubblica il tasso di turnover dei dipendenti
- 86% descrive le proprie politiche di engagement degli azionisti
E poi un dato che vale più di molte parole: quasi tutte le aziende energetiche (94% per capitalizzazione del settore) pubblicano dati ESG — un segnale importante, visto che parliamo dell’industria più emissiva e più rilevante per la transizione. Sono numeri che, presi insieme, mostrano un ecosistema che non sta scappando dalla sostenibilità, ma che sta cercando — con pragmatismo — di integrarla nella propria governance.
Le verifiche esterne: il tallone d’Achille della credibilità
C’è però un punto dove il passo è meno deciso: la verifica esterna.
Solo il 42% delle aziende che pubblica dati ESG richiede un assurance da parte di un soggetto terzo. E tra queste:
- 56% ottiene una limited assurance (superficiale)
- 17% una reasonable assurance (approfondita)
Una verifica c’è, ma non sempre solida. Segno che la trasparenza cresce, sì, ma che la credibilità della rendicontazione resta una partita ancora aperta.
Standard diversi per il reporting di sostenibilità in un mondo che chiede confronti
Un altro tassello interessante riguarda l’uso degli standard di rendicontazione. Oltre 6.500 aziende utilizzano gli standard GRI, più di 4.800 seguono le raccomandazioni TCFD, quasi 3.500 adottano gli standard SASB. 582 aziende hanno già integrato gli IFRS S1 e S2 dell’ISSB. Per quanto riguarda le ultime normative, le imprese europee soggette agli ESRS da quest’anno sono almeno 1.800.
Una pluralità che dimostra maturità, ma che porta con sé complessità. L’interoperabilità tra questi standard è uno dei temi su cui l’OCSE insiste di più: senza un linguaggio comune, comparare rischi e performance resta difficile, anche per chi ha le migliori intenzioni.
Un contesto politico che rema di lato… mentre le imprese avanzano
Un elemento interessante — e in fondo incoraggiante — è come questi dati si collochino nel contesto politico attuale. Con la semplificazione normativa invocata da più governi, con il dibattito europeo acceso attorno a CSRD e CSDDD, e con alcuni Paesi che hanno rallentato gli impegni climatici, ci si sarebbe potuti aspettare un freno alle pratiche ESG. Invece accade il contrario: le aziende continuano a rendicontare, a dichiarare, a misurare. Questo non significa che tutto sia risolto, ma suggerisce che la sostenibilità – e la sua rendicontazione – sta diventando un elemento strutturale della gestione aziendale, indipendentemente dalle oscillazioni politiche del momento.
L’autenticità resta la sfida del prossimo miglio
Accanto ai numeri, il report lascia emergere un punto cruciale: la rendicontazione è sempre più diffusa, ma deve ancora evolvere per diventare pienamente utile, comparabile, trasformativa.
Due aspetti in particolare meritano attenzione:
- la qualità delle informazioni (ancora troppo sbilanciata sugli input e poco sugli impatti)
- la difficoltà e la frammentarietà della rendicontazione lungo la catena del valore, soprattutto sul fronte delle emissioni Scope 3 e delle pratiche di due diligence sui diritti umani.
Non sono limiti che sminuiscono i progressi: sono semplicemente la naturale tappa successiva di un percorso che sta accelerando, più di quanto spesso raccontato dal dibattito pubblico.
Oltre i numeri: la trasparenza come rotta
La fotografia scattata dall’OCSE è chiara: la sostenibilità non sta arretrando, si sta consolidando. Le aziende rendicontano di più, governano meglio i rischi, coinvolgono maggiormente i consigli di amministrazione, integrano la sostenibilità nei sistemi di incentivazione. La macchina della trasparenza è partita e difficilmente tornerà indietro.
Il prossimo passo è trasformare questa trasparenza in una leva concreta di cambiamento, andando oltre il semplice esercizio di reporting di sostenibilità. Ma intanto, i dati ci dicono che la direzione è giusta. E che — nonostante i toni polemici che circondano l’ESG — il mondo delle imprese sta già andando avanti.