Greenwashing, l’Italia recepisce la direttiva UE sulla trasparenza ambientale

16 Novembre 2025
Greenwashing, Italia adotta normativa UE

Approvato il decreto che recepisce la direttiva UE 2024/825 sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde. Resta però fermo il provvedimento europeo più incisivo sulle asserzioni ambientali.

In una fase storica in cui l’urgenza climatica impone scelte chiare, anche sul piano della comunicazione ambientale, il Consiglio dei Ministri italiano il 5 novembre ha approvato il decreto legislativo che recepisce la direttiva europea 2024/825 sulla “responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde”.

Una buona notizia, che introduce nuove tutele contro il greenwashing e aggiorna il Codice del consumo per scoraggiare dichiarazioni ambientali vaghe, fuorvianti o non verificabili. Ma è importante chiarire subito un equivoco: non si tratta della direttiva Green Claims (come dichiarato sul sito del Mimit), quella più ambiziosa e attesa, che è tuttora bloccata a livello europeo.

Una distinzione fondamentale: cosa è stato approvato (e cosa no)

A essere recepita dal governo italiano è la direttiva (UE) 2024/825, approvata a livello europeo nel marzo 2024, con obbligo di recepimento da parte degli Stati membri entro il 27 marzo 2026.
Questa normativa interviene su due testi chiave:

  • la direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali,
  • e la direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.

Il suo obiettivo è rafforzare gli strumenti a tutela del consumatore, limitando l’uso disinvolto e spesso ingannevole dei cosiddetti green claims (le dichiarazioni ambientali) e incentivando un’informazione più trasparente, affidabile e verificabile.

Diverso, e per ora fermo a Bruxelles, è invece il cammino della direttiva Green Claims vera e propria, che prevede standard più rigorosi: in particolare l’obbligo per le aziende di sottoporre le proprie affermazioni ambientali a verifica da parte di soggetti terzi indipendenti. Un provvedimento che, se approvato, metterebbe fine alle certificazioni autoreferenziali e all’abuso di etichette come “a impatto zero” o “carbon neutral”. Ma è proprio questo testo che alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, hanno contribuito a bloccare durante l’estate.

Cosa cambia con il decreto approvato dal governo

Nel frattempo, il provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri il 5 novembre – su proposta del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso – porta avanti alcune modifiche significative. In particolare:

  • Viene aggiornato il Codice del consumo, ampliando l’elenco delle pratiche commerciali vietate.
  • Saranno vietate e sanzionate le affermazioni ambientali generiche, non verificabili o ingannevoli, come “neutro per il clima” o “eco-friendly”, se prive di prove concrete.
  • Vengono introdotte definizioni puntuali di concetti spesso abusati come “asserzione ambientale”, “marchio di sostenibilità”, “durabilità” e “riparabilità”.
  • Arriva un’etichetta armonizzata per indicare chiaramente la durabilità dei prodotti, anche nei contratti online.
  • L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) sarà incaricata di vigilare e potrà applicare le sanzioni previste.

Un segnale utile, ma non ancora sufficiente

Il provvedimento è rilevante, anche perché va a toccare settori particolarmente esposti al rischio greenwashing, come moda, tessile e largo consumo, dove il linguaggio della sostenibilità rischia a volte di essere più marketing che sostanza.

L’obiettivo dichiarato – e condivisibile – è difendere i consumatori e tutelare le imprese virtuose, che investono realmente nella transizione ecologica ma si trovano penalizzate da competitor meno trasparenti. Come ha dichiarato il ministro Urso, si punta a “valorizzare chi compete con trasparenza e responsabilità” e a “proteggere il Made in Italy autenticamente sostenibile”.

Per raggiungere davvero questi obiettivi, però, servono strumenti più incisivi. E qui entra in gioco la direttiva Green Claims, ancora al palo. Una normativa che, se approvata, darebbe maggiore credibilità alla comunicazione ambientale, sistematizzando la verifica delle dichiarazioni e costringendo le aziende a confrontarsi con dati oggettivi, non con promesse astratte.

Le imprese sono pronte?

Il decreto appena approvato impone alle aziende una maggiore attenzione nel linguaggio usato per promuovere i propri prodotti e servizi. Un’occasione utile per ripensare la strategia di comunicazione ambientale, e renderla un autentico asset di fiducia tra azienda e stakeholder.

Dalla gestione dei claim sui packaging alla trasparenza online, fino alla misurazione della durabilità e alla gestione post-vendita, la sostenibilità raccontata deve iniziare a coincidere con la sostenibilità praticata.

Ecco perché le imprese farebbero bene a prepararsi subito, anche in vista di future normative europee più stringenti. Perché, anche se oggi non è ancora obbligatorio dimostrare scientificamente le proprie dichiarazioni ambientali, domani probabilmente lo sarà. E chi si muove in anticipo sarà premiato – dal mercato, dai consumatori e dalla credibilità.

Micol Burighel 

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