Pechino vara uno standard obbligatorio per la sostenibilità aziendale: entro il 2030 coinvolgerà anche PMI e fornitori. Il confronto con l’Europa evidenzia un cambio di leadership regolatoria.
Quando si parlava di rendicontazione di sostenibilità, era naturale guardare all’Europa come modello normativo. Oggi, a sorpresa, si impone un altro protagonista: la Cina. Mentre l’UE, con il Pacchetto Omnibus, ha scelto di rallentare l’attuazione della CSRD – escludendo decine di migliaia di imprese dagli obblighi di reporting, circa 40mila sulle 50mila inizialmente coinvolte – la Cina accelera e introduce un sistema ambizioso e vincolante: i Corporate Sustainability Disclosure Standards (CSDS).
Un’inversione dei ruoli che mette a nudo un paradosso ormai evidente: l’Europa, pioniera della regolazione ESG, tira il freno a mano proprio quando la Cina decide di investire sulla sostenibilità come leva di competitività, trasparenza e solidità sistemica. E lo fa senza incertezze: entro il 2030, anche le PMI e le filiere produttive saranno coinvolte nel nuovo standard, con effetti diretti per tutte le aziende europee che operano o esportano nel mercato cinese.
Cosa sono i CSDS e perché contano (anche per l’Europa)
I CSDS – pubblicati a dicembre 2024 – sono il primo tentativo della Cina di costruire un sistema nazionale unificato e obbligatorio per la rendicontazione ESG. Ispirati ai principi della CSRD europea e agli standard ISSB, i CSDS introducono la doppia materialità, un requisito di trasparenza che chiede alle aziende di rendicontare sia i rischi ESG che impattano i loro bilanci (outside-in), sia l’impatto che generano su ambiente e società (inside-out).
La struttura dei CSDS si articola su tre livelli:
- Basic Standards, che stabiliscono principi e requisiti generali;
- Specific Standards, dedicati a temi come clima, biodiversità, lavoro;
- Application Guidelines, che aiutano le aziende nell’implementazione.
L’obiettivo è chiaro: creare un linguaggio comune della sostenibilità, integrato con la finanza verde cinese e in grado di garantire comparabilità e affidabilità delle informazioni, anche per attrarre investimenti.
La filiera sotto la lente: effetto diretto sulle aziende europee
Un altro aspetto decisivo dei CSDS è l’inclusione della supply chain: le aziende saranno obbligate a raccogliere e rendicontare dati ESG anche dai loro fornitori e distributori. Un cambio di paradigma che impatterà direttamente sulle imprese europee con fornitori in Cina o che esportano verso quel mercato.
Per le aziende UE con fornitori cinesi, questo significa maggior accesso a dati accurati, inclusa la qualità dei dati Scope 3 richiesti dalla CSRD. Questo naturalmente richiede di ripensare i processi di due diligence, investendo nelle capacità delle filiere di raccogliere dati e rendicontare secondo standard che oggi non possiamo più considerare “occidentali”.
CSDS e CSRD: convergenze e differenze
Nonostante le divergenze, i due standard – CSRD e CSDS – condividono alcune caratteristiche fondamentali:
- Doppia materialità, assente negli standard ISSB ma presente in entrambi;
- Approccio modulare e graduale, che parte dalle grandi imprese per estendersi alle PMI;
- Integrazione tra sostenibilità e bilanci finanziari, segno che la sostenibilità non è più ancillare;
- Coinvolgimento della supply chain, per una visione sistemica dei rischi ESG.
Ma la differenza principale sta nell’atteggiamento politico: la Cina scommette su una visione strategica della sostenibilità come fattore di resilienza e competitività industriale, mentre l’UE – almeno per ora – sembra cedere alla tentazione del rollback normativo.
E ora che lo chiede la Cina?
Per anni, una delle obiezioni più ricorrenti al rafforzamento degli obblighi ESG in Europa è stata: “Tanto nel resto del mondo queste regole non ci sono”. Ma cosa accade quando è la seconda economia del pianeta a chiederle? E quando la Cina le rende obbligatorie per entrare nel proprio mercato?
Chi ha sempre visto nella sostenibilità un costo o una zavorra dovrà cambiare prospettiva in fretta. I CSDS sono un’ulteriore conferma del fatto che la trasparenza ESG è ormai una condizione d’accesso ai mercati globali, non più una scelta reputazionale per aziende “virtuose”. Il paradosso è servito: chi considerava la Cina “arretrata” sul fronte della sostenibilità, ora dovrà rincorrerla.
La trasparenza come vantaggio competitivo
Se la sostenibilità viene vissuta come un costo da minimizzare, si finisce inevitabilmente per subire il cambiamento. Ma se la si interpreta come linguaggio strategico e leva di posizionamento, le imprese possono anticipare le richieste normative, rafforzare il proprio brand, migliorare l’accesso alla finanza e aumentare la fiducia di investitori e consumatori.
La sfida per le aziende europee è chiara: non accontentarsi di adempiere a regole ridotte, ma scegliere standard elevati, volontari e interoperabili. Questo è il modo per mantenere la leadership e non rimanere indietro in un mondo che – con o senza Bruxelles – sta cambiando.
In questo contesto, la CSDS cinese non è solo una normativa: è una dichiarazione geopolitica. La Cina vuole dettare anche le regole del gioco della sostenibilità aziendale. E se l’Europa vuole conservare il suo ruolo di guida, dovrà smettere di guardarsi alle spalle e tornare a correre in avanti, puntando su coerenza, ambizione e coraggio.
Giulia Devani
CSDS: la Cina accelera sulla rendicontazione ESG, mentre l’Europa frena
Pechino vara uno standard obbligatorio per la sostenibilità aziendale: entro il 2030 coinvolgerà anche PMI e fornitori. Il confronto con l’Europa evidenzia un cambio di leadership regolatoria.
Quando si parlava di rendicontazione di sostenibilità, era naturale guardare all’Europa come modello normativo. Oggi, a sorpresa, si impone un altro protagonista: la Cina. Mentre l’UE, con il Pacchetto Omnibus, ha scelto di rallentare l’attuazione della CSRD – escludendo decine di migliaia di imprese dagli obblighi di reporting, circa 40mila sulle 50mila inizialmente coinvolte – la Cina accelera e introduce un sistema ambizioso e vincolante: i Corporate Sustainability Disclosure Standards (CSDS).
Un’inversione dei ruoli che mette a nudo un paradosso ormai evidente: l’Europa, pioniera della regolazione ESG, tira il freno a mano proprio quando la Cina decide di investire sulla sostenibilità come leva di competitività, trasparenza e solidità sistemica. E lo fa senza incertezze: entro il 2030, anche le PMI e le filiere produttive saranno coinvolte nel nuovo standard, con effetti diretti per tutte le aziende europee che operano o esportano nel mercato cinese.
Cosa sono i CSDS e perché contano (anche per l’Europa)
I CSDS – pubblicati a dicembre 2024 – sono il primo tentativo della Cina di costruire un sistema nazionale unificato e obbligatorio per la rendicontazione ESG. Ispirati ai principi della CSRD europea e agli standard ISSB, i CSDS introducono la doppia materialità, un requisito di trasparenza che chiede alle aziende di rendicontare sia i rischi ESG che impattano i loro bilanci (outside-in), sia l’impatto che generano su ambiente e società (inside-out).
La struttura dei CSDS si articola su tre livelli:
L’obiettivo è chiaro: creare un linguaggio comune della sostenibilità, integrato con la finanza verde cinese e in grado di garantire comparabilità e affidabilità delle informazioni, anche per attrarre investimenti.
La filiera sotto la lente: effetto diretto sulle aziende europee
Un altro aspetto decisivo dei CSDS è l’inclusione della supply chain: le aziende saranno obbligate a raccogliere e rendicontare dati ESG anche dai loro fornitori e distributori. Un cambio di paradigma che impatterà direttamente sulle imprese europee con fornitori in Cina o che esportano verso quel mercato.
Per le aziende UE con fornitori cinesi, questo significa maggior accesso a dati accurati, inclusa la qualità dei dati Scope 3 richiesti dalla CSRD. Questo naturalmente richiede di ripensare i processi di due diligence, investendo nelle capacità delle filiere di raccogliere dati e rendicontare secondo standard che oggi non possiamo più considerare “occidentali”.
CSDS e CSRD: convergenze e differenze
Nonostante le divergenze, i due standard – CSRD e CSDS – condividono alcune caratteristiche fondamentali:
Ma la differenza principale sta nell’atteggiamento politico: la Cina scommette su una visione strategica della sostenibilità come fattore di resilienza e competitività industriale, mentre l’UE – almeno per ora – sembra cedere alla tentazione del rollback normativo.
E ora che lo chiede la Cina?
Per anni, una delle obiezioni più ricorrenti al rafforzamento degli obblighi ESG in Europa è stata: “Tanto nel resto del mondo queste regole non ci sono”. Ma cosa accade quando è la seconda economia del pianeta a chiederle? E quando la Cina le rende obbligatorie per entrare nel proprio mercato?
Chi ha sempre visto nella sostenibilità un costo o una zavorra dovrà cambiare prospettiva in fretta. I CSDS sono un’ulteriore conferma del fatto che la trasparenza ESG è ormai una condizione d’accesso ai mercati globali, non più una scelta reputazionale per aziende “virtuose”. Il paradosso è servito: chi considerava la Cina “arretrata” sul fronte della sostenibilità, ora dovrà rincorrerla.
La trasparenza come vantaggio competitivo
Se la sostenibilità viene vissuta come un costo da minimizzare, si finisce inevitabilmente per subire il cambiamento. Ma se la si interpreta come linguaggio strategico e leva di posizionamento, le imprese possono anticipare le richieste normative, rafforzare il proprio brand, migliorare l’accesso alla finanza e aumentare la fiducia di investitori e consumatori.
La sfida per le aziende europee è chiara: non accontentarsi di adempiere a regole ridotte, ma scegliere standard elevati, volontari e interoperabili. Questo è il modo per mantenere la leadership e non rimanere indietro in un mondo che – con o senza Bruxelles – sta cambiando.
In questo contesto, la CSDS cinese non è solo una normativa: è una dichiarazione geopolitica. La Cina vuole dettare anche le regole del gioco della sostenibilità aziendale. E se l’Europa vuole conservare il suo ruolo di guida, dovrà smettere di guardarsi alle spalle e tornare a correre in avanti, puntando su coerenza, ambizione e coraggio.
Giulia Devani
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