Il valore della comunicazione sociale in una tesi di laurea
Sergio Vazzoler, partner Amapola, è stato recentemente coinvolto da uno studente dell’Università Telematica Internazionale Uninettuno in una tesi di laurea su Creatività e Comunicazione Pubblicitaria.
Roberto Pagnin si è laureato alla Facoltà di Scienze della comunicazione con una tesi dal titolo “Evoluzione della comunicazione sociale, dalla Pubblicità Progresso alle campagne shock”. Il lavoro è un viaggio nella Comunicazione Sociale, cioè quella comunicazione che ha l’obiettivo di sensibilizzare ed educare il grande pubblico su tematiche di interesse generale, ma che, inevitabilmente, prende le mosse dai principi generali della comunicazione, tenendo conto delle profonde trasformazioni avvenute negli ultimi decenni.
Sergio Vazzoler ha risposto a una serie di domande su questi aspetti e le sue considerazioni fanno parte dell’ultimo capito della tesi.
Pubblichiamo qui la sua intervista.
Facendo un parallelismo tra comunicazione commerciale e sociale, e vedendo i due filoni come vasi comunicanti, cos’è passato negli anni tra l’uno e l’altro vaso che ha portato più valore relativamente ai diversi contesti?
Penso che la comunicazione commerciale abbia reso meno “seriosa” e normativo/burocratica quella sociale. Nel passato, infatti, la comunicazione sociale era troppo spesso ancorata al “si deve fare” e al “questo è giusto, questo è sbagliato”, rendendo inefficaci gli obiettivi delle campagne. Grazie al ritmo e al linguaggio usato dalla comunicazione commerciale, quella sociale ne ha guadagnato in appeal. Del resto la comunicazione sociale ha influenzato quella commerciale, trovando un varco nel marketing per considerare sempre l’aspetto di “utilità” accanto a quello di “piacevolezza”. E pian piano gli aspetti etici e le “buone cause” trovano sempre maggiore spazio anche nella comunicazione commerciale.
Alcuni studi sugli effetti delle campagne di comunicazione sociale sono molto critici sull’approccio meramente conoscitivo; ad esempio uno studio americano inerente una campagna di denuncia contro l’uso di marijuana fra i giovani ha verificato effetti addirittura opposti rispetto quelli voluti. Nell’esempio citato, la campagna aveva lo scopo di informare i giovani sugli effetti negativi derivanti dal consumo di marijuana, ma ha ottenuto, invece, l’effetto di normalizzarne l’uso spingendo, anche chi non l’aveva mai usata prima, a provarla. Secondo queste premesse tutta la comunicazione sociale di questo tipo è destinata ad avere un effetto “boomerang”?
Salvo alcune eccezioni che possono sempre esistere, qualsiasi messaggio deve portare con sé non solo un’informazione (livello conoscitivo) ma anche aspetti valoriali, simbolici ed emotivi per poter sfondare. Quindi, direi proprio di sì: l’effetto boomerang per quel tipo d’impostazione è sempre dietro l’angolo…
Ritiene che il baricentro della comunicazione sociale possa essere spostato dalla denuncia di problemi alla divulgazione di progetti costruttivi? Non sarebbe interessante che la comunicazione non-profit tendesse a ingenerare un circolo virtuoso basato sull’imitazione non solo dei comportamenti ma anche delle attività che hanno avuto una ricaduta positiva sulla società?
Assolutamente sì. Le buone pratiche, i casi positivi di realizzazioni andate a buon fine, il potersi riconoscere e pensare “allora possiamo riuscirci anche noi” sono le modalità migliori per entrare nel vissuto degli interlocutori, per costruire significati condivisi e per spingere all’azione.
Anche in questo caso la regola dell’AIDA (attenzione/interesse/desiderio/azione) può aiutare gli obiettivi delle campagne sociali.
Uno dei maggiori ostacoli che incontrano gli addetti alla creazione di campagne di comunicazione sociale, è il reperimento dei finanziamenti, sarebbe percorribile una strada più comunitaria e sociale come il crowdfunding?
Questo è certamente un argomento che si imporrà nel futuro della comunicazione sociale. All’estero sono già molte le iniziative di successo in tal senso. Qua in Italia, però, occorrerà lavorare ancora molto sulla formazione alle organizzazioni sociali prima di avviare progetti di crowdfunding: siamo ancora distanti da una cultura basata sulla cura e manutenzione del patrimonio relazionale che sta alla base dei processi di richiesta fondi. Insomma, prima di impostare una campagna di crowdfunding le organizzazioni devono imparare ad ascoltare in modo strutturato e continuativo e a curare i database e la profilazione dei propri stakeholder!
Come si potrebbe evolvere questo tipo di comunicazione? Lungo quali direttrici?
Come tutti i settori della comunicazione, anche il sociale vedrà sempre più la necessità di maggiore personalizzazione e l’utilizzo dei dati aperti. Il digitale fornisce grandi opportunità per “profilare” meglio i propri interlocutori e per rendere più mirate le campagne di comunicazione sociale: soltanto con un’ingegnerizzazione dei processi di comunicazione (monitoraggio, ascolto, analisi, categorizzazioni e creazioni di profili) può portare a un miglioramento delle attività collegate.
Inoltre tramite l’utilizzo degli “open data” si possono moltiplicare le possibilità di ricerca ed elaborazione su qualsiasi tema legato al sociale e, di nuovo, essere più efficaci nelle azioni successive per veicolare un messaggio o richiedere un’azione (call to action).