Dove si gioca la vera sfida della comunicazione ambientale?
“Sensibilizzare, fare cultura e informare correttamente la popolazione circa i rischi dei cambiamenti climatici, senza cadere nella trappola del catastrofismo o in quella (ancora più pericolosa) del tecnicismo scientifico”.
Sono queste le vere sfide della comunicazione ambientale secondo Sergio Vazzoler, senior partner Amapola e delegato Ferpi alla comunicazione ambientale, come scrive nel numero di dicembre de La Nuova Ecologia, la rivista di Legambiente diretta da Marco Fratoddi.
“Lavaggio verde”
Gli italiani sembrano più interessati alle opportunità della green economy che non ai rischi del global warming. L’editoriale uscito su questa rivista il mese scorso, a firma di Marco Fratoddi, poneva all’attenzione i risultati delle statistiche di ricerca su Google e s’interrogava sulle possibili ragioni del crescente interesse da parte dell’opinione pubblica verso l’economia verde a scapito del cambiamento climatico.
Un dato che a quanti, come noi, si occupano di relazioni pubbliche, fa riflettere. E che ci invita ad approfondire le ragioni di una possibile alleanza fra associazioni, enti locali, organi d’informazione verso una migliore condivisione delle tematiche ambientali.
Ci sono due diverse maniere di leggere a nostro avviso questo fenomeno: concentrarsi sulle differenze fra green economy e global warming oppure prendere atto che si tratta di due facce della stessa medaglia. Personalmente scelgo quest’ultimo approccio: la green economy, infatti, non è altro che una risposta positiva (e necessaria) al peggioramento della condizione ambientale del pianeta. Ecco, allora, che la tendenza evidenziata dalle ricerche in rete può raccontarci non tanto l’indifferenza generalizzata verso il riscaldamento globale quanto una maggiore propensione al risvolto pratico della questione. Nell’interesse verso l’economia verde si coglie un’adesione di principio alla costruzione di un modello sostenibile e la conferma di una sensibilità crescente verso la dimensione ambientale: s’intravede un’“ecopragmatica” (come la definisce Massimo Scalìa) che deve essere vista come un segnale positivo.
Ed è qui che si gioca la vera sfida per la comunicazione ambientale: sensibilizzare, fare cultura e informare correttamente la popolazione circa i rischi dei cambiamenti climatici, senza cadere nella trappola del catastrofismo o in quella (ancora più pericolosa) del tecnicismo scientifico. Occorre, al contrario, puntare verso nuove forme di narrazione, che sappiano trasmettere i messaggi-chiave, facendo vivere esperienze originali e positive alle persone, coinvolgendole attivamente nella costruzione del significato da attribuire alla causa ambientale. Ma il compito della comunicazione ambientale non si esaurisce qui: deve aiutare le istituzioni a porre al centro dell’agenda la questione ambientale e a parlare di green economy pensando al global warming. Già, perché ciò che manca nelle politiche nazionali è la consapevolezza di come l’economia verde possa diventare un’opportunità se parte proprio dagli strumenti di prevenzione dal rischio idrogeologico. Se, ad esempio, vogliamo orientare la domanda di sostenibilità dei cittadini con azioni “smart” per le nostre città, non possiamo contraddire quelle azioni con la pressoché totale assenza di politiche per la prevenzione degli eventi alluvionali. La comunicazione ambientale per essere credibile ed efficace deve innanzitutto essere coerente con i comportamenti. Altrimenti è soltanto greenwashing ma in questo caso in gioco non c’è il successo o meno di un prodotto ma la sostenibilità del territorio e delle comunità.