Cambiamo ‘verso’ anche alla comunicazione ambientale
“Quella discarica qua devi metterla là, quell’inceneritore là non devi metterlo qua”: se il comico Francesco Salvi fosse ancora in auge, potrebbe essere questo il tormentone da cantare in questi tempi caratterizzati da una crescente idiosincrasia verso il rifiuto in tutte le sue forme. Al netto della tanta letteratura e convegnistica sul “rifiuto come risorsa”…
Già, perché, se è vero che molte città viaggiano ormai su percentuali di raccolta differenziata assai virtuose, è ancor più vero che il ciclo dei rifiuti non si esaurisce lì e il Paese rimane tuttora bloccato nella ricerca di territori che accolgano “buche” o “capannoni” dove smaltire la mole di rifiuti che tutti noi quotidianamente produciamo: discariche, inceneritori, termovalorizzatori, impianti a biomasse, a pirolisi o di trattamento meccanico biologico e così via.
Persino una Regione virtuosa come l’Emilia Romagna è interessata da diversi mesi da un vivace dibattito in merito al modello da scegliere per la gestione del “rusco” di oggi e domani: ne ho avuto la rappresentazione plastica in un recente convegno a cui sono stato chiamato in qualità di moderatore. L’evento si è svolto a Carpi ed è stato organizzato da una multiutility (l’Aimag) che è riuscita nella non facile impresa di “reggere” e superare la delicata fase del post-terremoto del 2012 – che ha visto colpiti in modo chirurgico tutti i 21 Comuni del suo bacino d’utenza – grazie ad un innovativo modello di servizi industriali e attenzione sociale.
Ebbene, anche nell’Emilia monocolore PD (con l’eccezione della Parma pentastellata) la diatriba tra chi spinge a una società “post-incenerimento” e chi invece difende l’attuale mix composto da raccolta differenziata e impiantistica è assai accesa. E nell’alimentare il fuoco delle polemiche, come al solito, giocano un ruolo importante le scadenze elettorali che si misurano con le istanze delle comunità locali e gli interessi conflittuali.
Nello svolgere il ruolo di moderatore tra le diverse voci in campo ho pensato e ripensato a quanto sia ancora ardita la strada da percorrere per reinterpretare e raccontare l’ambiente in chiave positiva. Eppure solo così riusciremo a conquistare passo dopo passo lo spazio necessario per affrontare il problema ambientale: valorizzare, premiare, promuovere le buone pratiche e tradurre in casi concreti e immediatamente apprezzabili i concetti generici e spesso fumosi di sviluppo sostenibile e green economy. Evitando di snocciolare statistiche o mostrare grafici incomprensibili ma facendo parlare gli imprenditori e gli amministratori che hanno “guadagnato” nell’aver scelto l’opzione green.
L’esperienza e la cronaca ci dicono che persino gli scenari più inquietanti e terrificanti sul rischio di catastrofi ambientali imminenti (e la scienza non è mai stata così tanto concorde e puntuale come oggi) non scalfiscono la percezione di politici, media e cittadini nel considerare il tema come irrilevante. Sarà pure la moda del momento ma lo slogan “cambia verso” del premier-rottamatore si addice alla perfezione anche in questo caso: insieme alla riforma del Titolo V (fondamentale per fare pulizia del perenne balletto di competenze tra Stato e Regioni, a partire proprio dai temi ambientali) dovremo anche reinventare il modo di comunicare l’ambiente: semplificare, motivare e spingere all’azione. L’approccio catastrofico? Faccia la fine del Senato!